“La democrazia sindacale è importante. Ma sottoporre l’accordo su Alitalia al referendum tra i dipendenti, snaturando il nostro ruolo, forse è stato un errore e su questo bisognerà aprire una riflessione unitaria”. (…) Ci sono circostanze di crisi, come quella della compagnia aerea, in cui dare la parola direttamente ai lavoratori non è la soluzione. Anzi: ‘Abbiamo scaricato la responsabilità, scatenando un populismo sindacale’. Ma ora bisogna fare un passo avanti: ‘Vedo solo polemiche politiche, demagogia, se la scelta degli azionisti sarà il commissariamento procediamo velocemente con un piano industriale. (…) Bisogna riflettere sulle forme di partecipazione, anche perché questo voto ha scatenato delle forme di populismo sindacale, una deriva preoccupante simile a quella che vediamo nella politica. Penso alle sigle di base, il Cub e non solo, che hanno usato la chimera della nazionalizzazione. Ora però dobbiamo guardare avanti.” Dall’intervista di Filippo Santinelli ad Anna Maria Furlan, Segretaria Generale della CISL, La Repubblica,28 aprile 2017.
Come è noto il referendum sull’accordo Alitalia firmato da CGIL CISL UIL e sindacati corporativi del personale di volo si è concluso, quasi a dare un senso attuale ed effettivo alla ricorrenza troppo spesso stancamente rituale del 25 aprile, con un risultato che non permette dubbi.Cosimo Scarinzi
Su 11,673 lavoratori e lavoratrici aventi diritto al voto hanno votato 10.184 e cioè l’87,24% ed i NO sono stati 6816, cioè il 66,83% contro 3206 SI. Se si tene poi conto del fatto che CGIL CISL UIL e sodali hanno puntato ad opporre il personale di terra a quello di volo, il risultato è ancora più interessante, se è vero, infatti, che piloti e assistenti di volo hanno votato NO all’89,64%, è anche vero che il personale di terra, la grande maggioranza del personale, ha votato con un consistente scarto NO e che il SI ha vinto solo fra gli addetti alle mense ed alle manutenzione e, guarda caso, negli scali periferici dove il Comitato per il NO non ha potuto svolgere la sua funzione di controllo.
Partiamo dai contenuti dell’accordo: il licenziamento di 980 dipendenti a tempo indeterminato tra i dipendenti di terra, cui sarebbe stata garantita la cassa integrazione straordinaria per due anni, più 140 tagli nelle sedi estere ed il mancato rinnovo di contratti a termine, per un totale di 1700 persone coinvolte. L’intesa prevedeva poi un taglio medio ufficialmente dell’8% ma, in realtà, del 24% alla retribuzione del personale navigante ed interventi operativi per ridurre il costo del lavoro. I nuovi assunti sarebbero stati pagati con il contratto Cityliner (molto più economico), sui voli a lungo raggio ci sarebbe un assistente di volo in meno e l’equipaggio avrebbe avuto più compiti, i turni di riposo sarebbero stati ridotti e gli scatti d’anzianità sarebbero diventati triennali. In sintesi, il taglio complessivo al costo del lavoro previsto era vicino agli 80 milioni l’anno.
Per dirla con più franchezza che discrezione, una bastonata sui denti anche non tenendo conto – e se ne deve tenere conto – dell’impatto sulle lavoratrici e sui lavoratori dell’indotto. Soprattutto, una bastonata sui denti che segue accordi precedenti, fatti tutti in nome della salvaguardia dell’occupazione, che già hanno comportato tagli al personale ed alle retribuzioni e che si sono dimostrati assolutamente inefficaci a questo fine. Un accordo, infine, non credibile anche nella sua stessa logica perché, prevedendo un taglio all’attività di Alitalia preparava, in realtà, un ulteriore smantellamento.
Si deve però evitare un errore nella valutazione dell’andamento del referendum: non si è infatti trattato dell’esercizio di una democrazia formale astrattamente intesa per la quale si “chiede un parere” alle lavoratrici ed ai lavoratori coinvolti da un accordo – quella democrazia formale che Anna Rita Furlan scopre essere “populismo sindacale” – ma di ben altro.
Il referendum, infatti, segue una serie di scioperi e di manifestazioni massicciamente partecipati indetti dal sindacalismo di base ed in particolare dalla CUB Trasporti, è poi stato richiesto non da CGIL CISL UIL bensì proprio dagli acquirenti potenziali che – se vogliamo sensatamente – non si fidavano, e come si è visto avevano ragione, della capacità del sindacalismo istituzionale di tenere in riga le lavoratrici ed i lavoratori e volevano un’ulteriore verifica dell’appecoramento dei lavoratori stessi.
È quindi stata, a mio avviso, assolutamente giusta la scelta di CUB Trasporti di invitare i lavoratori e le lavoratrici a votare NO, di costituire un Comitato per il NO per controllare, per quanto possibile, che non ci fossero manipolazioni che, come abbiamo visto, negli scali periferici, che comunque hanno un peso modesto, dove il Comitato per il NO non c’era, presumibilmente ci sono stati.
Non si tratta, infatti, di valutare la forma referendum in linea generale ma di ragionare sul concreto contesto nella quale si applica, in questo caso la mobilitazione precedente, nella piena consapevolezza che il lavoratore isolato mentre vota è diverso da quello in lotta. Tutto questo autorizzava a ritenere che il referendum avrebbe, e lo ha fatto oltre le migliori aspettative, registrato la mobilitazione e non partecipare al referendum avrebbe fornito agli avversari un buon argomento contro i lavoratori ed il sindacalismo di base, visto che avrebbe potuto accusarli di essersi sottratti ad una verifica “democratica”.
Non a caso, la scelta dell’astensione è stato proposto dal settore firmaiolo del sindacalismo di base che avrebbe preferito non schierarsi, per poi, laddove vi fosse stata la vittoria del SI, correre a firmare, come ha sempre fatto, l’accordo in nome del “principio di realtà” ma, di fronte alla tenuta della CUB trasporti, anche questo settore è stato costretto a schierarsi senza ambiguità contro l’accordo.
Mi è capitato di ritrovare quanto, il 25 aprile, a vittoria del NO fresca e tale da suscitare allegrezza, scrivevo sull’esito del referendum che mi permetto di riproporre proprio perché esprime non una pacata riflessione analitica, ma una valutazione militante a caldo.
“Sulla vertenza Alitalia siamo ad un punto di svolta delicatissimo. Il 67% di NO nonostante una campagna terroristica che prospettava la morte di Alitalia stessa, nonostante in molte località periferiche come, ad esempio, Torino, non potesse svolgere la doverosa funzione di controllo sulla regolarità del voto, il Comitato per il NO costituito da CUB Trasporti e AlCrewCommittee, vi sia stato, guarda caso, il 100% di SI, una vittoria che segue partecipati scioperi e manifestazioni è un segnale politico straordinario: è possibile non chinare il capo, è possibile difendere i propri diritti.
Già oggi comincia la solita campagna mediatica contro i ‘privilegiati’, i ‘corporativi’ ecc. e la pressione perché il Governo ‘non ceda’. Si tratta allora di non lasciare isolati le lavoratrici ed i lavoratori di Alitalia e di cogliere appieno il segnale del referendum. Si tratta di garantire sostegno, solidarietà, unità non a chiacchiere ma con l’iniziativa diretta. Hic Rhodus, hic salta.”
Taglio passionale a parte, ma non mi imbarazza, a freddo confermo appieno quella valutazione. Con la vittoria del NO la partita non si chiude, casomai è vero il contrario.
Da una parte, e le affermazioni della Furlan ne sono solo un esempio, parte la campagna contro le lavoratrici dell’Alitalia, dall’altra si aprono per noi prospettive interessanti. Immediatamente, infatti, sono arrivate le scomuniche:
“Non accetto il fatto che un’azienda in crisi possa andare a bussare alla porta del governo per avere delle agevolazioni.” – Vincenzo Boccia, Presidente di Confindustria da New York.
“Rammarico e sconcerto per l’esito del referendum Alitalia che mette a rischio il piano di ricapitalizzazione della compagnia. A questo punto l’obiettivo del governo, in attesa di capire cosa decideranno gli attuali soci di Alitalia, sarà quello di ridurre al minimo i costi per i cittadini italiani e per i viaggiatori.” – Dichiarazione congiunta dei ministri dello Sviluppo Carlo Calenda, dei Trasporti Graziano Delrio e del Lavoro Giuliano Poletti.
“Ora occorre rimediare! Se nel governo c’è qualcuno che ha polso e coraggio, deve riannodare i fili con gli azionisti di Alitalia, per riportare le lancette a prima del referendum, facendo valere il patto sottoscritto. E bisogna fare presto per evitare il totale disfacimento dell’azienda e con essa migliaia di posti di lavoro. Peraltro va ricordato che il mercato del volo italiano è tra i più ricchi, per le tante ‘colonie’ di nostri connazionali nel mondo, per un turismo comunque interessato ai nostri beni culturali e monumentali, che da soli rappresentano più della metà dei beni di tutti gli altri paesi del globo messi insieme.” – Raffaele Bonanni, ex Segretario generale della CISL.
In estrema sintesi, plotoni di improbabili seguaci di Quintino Sella si sono precipitati ad invocare rigore, serietà, rispetto delle regole di mercato ed a fare dei lavoratori dell’Alitalia il bersaglio, un po’ come è stata pochi anni addietro la popolazione greca, di un’azione “educativa” che chiarisca al buon popolo che il dio mercato non va irritato con interventi pubblici.
Ritengo quasi offensivo per l’intelligenza di chi legge ricordare come le stesse regole del mercato, quando si trattava – e si tratta – di garantire gli interessi dei membri della classe dominante, diventino un optional: la questione vera è però ovviamente un’altra e cioè il fatto che la lotta dell’Alitalia, certo insufficiente, certo limitata ma, e questo conta, ESISTENTE, pone al centro la possibilità di cambiare verso, di partire dalle rivendicazioni e dagli interessi della nostra classe e non dalle regole di un’economia che sappiamo nemica.
Una seconda considerazione vale la pena di fare. Dal punto di vista comunicativo la lotta dei lavoratori e delle lavoratrici dell’Alitalia ha dato voce alle loro, e nostre, rivendicazioni come mai avrebbero fatto mille richieste col cappello in mano a giornalisti, politici, intellettuali.
Oggi si parla di questa situazione, oggi lavoratori e lavoratrici dell’Alitalia trovano un’attenzione che solo la FORZA ha garantito loro, oggi possono comunicare per tutti noi e questa è un’ulteriore vittoria.
Per, provvisoriamente, concludere, non si può certo chiedere alle lavoratrici ed ai lavoratori dell’Alitalia di essere altro rispetto a quanto sono, donne ed uomini che lottano per il reddito ed i diritti, e già ciò è straordinario.
Va quindi fatta una rigorosa distinzione fra rivendicazioni immediate, necessariamente legate ad una, per quanto importante, vertenza aziendale e prospettive generali che richiedono – so di ripetermi rispetto a miei precedenti scritti ma non è mia consuetudine cambiare opinione a distanza di pochi giorni – una mobilitazione generale per il salario, per la riduzione dell’orario di lavoro, per il reddito, per la libertà sindacale, una mobilitazione generale che si deve basare sulla pratica concreta della solidarietà e sulla capacità di costruire vertenze categoriali, a partire da quella del settore dei trasporti, ed intercategoriali e di porsi in relazione con i movimenti sociali che oggi sono presenti.
Se sapremo farlo, se sapremo dare il nostro contributo a quanto generosamente hanno saputo, e sanno, fare i lavoratori ed i compagni di Alitalia sarà il punto di partenza per una mobilitazione larga e incisiva. Questa è la scommessa dell’oggi.
Cosimo Scarinzi